CVIII Falsembiante

“Ma quand’i’ truovo un ben ricco usuraio
Infermo, vo’l sovente a vicitare,
Chéd i’ ne credo danari aportare
Non con giomelle, anzi a colmo staio.
E quando posso, e’ non riman danaio
A·ssua famiglia onde possa ingrassare;
Quand’egli è morto, il convio a sotterrare,
Po’ torno e sto più ad agio che gennaio.
E sed i’ sono da nessun biasmato
Perch’io il pover lascio e ‘l ricco stringo,
Intender fo che ‘l ricco à più peccato,
E perciò sì ‘l conforto e sì ‘l consiglio,
Insin ch’e’ d’ogne ben s’è spodestato,
E dato â me, che ‘n paradiso il pingo.

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