Convivio – Trattato IV – Capitolo XX

         Quando appresso seguita: Dunque verrà, come dal nero il perso, procede lo testo a la diffinizione di nobilitade, la qual si cerca, e per la quale si potrà vedere che è questa nobilitade di che tanta gente erroneamente parla. Dice dunque, conchiudendo da quello che dinanzi detto è: dunque ogni vertude, o vero il gener loro, cioè l'abito elettivo consistente nel mezzo, verrà da questa, cioè nobilitade. E rende essemplo ne li colori, dicendo: sì come lo perso dal nero discende, così questa, cioè vertude, discende da nobilitade. Lo perso è uno colore misto di purpureo e di nero, ma vince lo nero, e da lui si dinomina; e così la vertù è una cosa mista di nobilitade e di passione; ma perché la nobilitade vince in quella, è la vertù dinominata da essa, e appellata bontade. Poi appresso argomenta, per quello che detto è, che nessuno, per poter dire: "Io sono di cotale schiatta", non dee credere essere con essa, se questi frutti non sono in lui. E rende incontanente ragione, dicendo che quelli che hanno questa grazia, cioè questa divina cosa, sono quasi come dèi, sanza macula di vizio; e ciò dare non può se non Iddio solo, appo cui non è scelta di persone, sì come le divine Scritture manifestano. E non paia troppo alto dire ad alcuno, quando si dice: Ch'elli son quasi dèi; ché, sì come di sopra nel settimo capitolo del terzo trattato si ragiona, così come uomini sono vilissimi e bestiali, così uomini sono nobilissimi e divini, e ciò pruova Aristotile nel settimo de l'Etica per lo testo d'Omero poeta. Sì che non dica quelli de li Uberti di Fiorenza, né quelli de li Visconti da Melano: "Perch'io sono di cotale schiatta, io sono nobile"; ché 'l divino seme non cade in ischiatta, cioè in istirpe, ma cade ne le singulari persone, e, sì come di sotto si proverà, la stirpe non fa le singulari persone nobili, ma le singulari persone fanno nobile la stirpe.
         Poi, quando dice: Ché solo Iddio a l'anima la dona, ragione è del suscettivo, cioè del subietto dove questo divino dono discende: ch'è bene divino dono, secondo la parola de l'Apostolo: "Ogni ottimo dato e ogni dono perfetto di suso viene, discendendo dal Padre de' lumi". Dice adunque che Dio solo porge questa grazia a l'anima di quelli cui vede stare perfettamente ne la sua persona, acconcio e disposto a questo divino atto ricevere. Ché, secondo dice lo Filosofo nel secondo de l'Anima, "le cose convengono essere disposte a li loro agenti, e a ricevere li loro atti"; onde se l'anima è imperfettamente posta, non è disposta a ricevere questa benedetta e divina infusione: sì come se una pietra margarita è male disposta, o vero imperfetta, la vertù celestiale ricever non può, sì come disse quel nobile Guido Guinizzelli in una sua canzone, che comincia: Al cor gentil ripara sempre Amore. Puote adunque l'anima stare non bene ne la persona per manco di complessione, o forse per manco di temporale: e in questa cotale questo raggio divino mai non risplende. E possono dire questi cotali, la cui anima è privata di questo lume, che essi siano sì come valli volte ad aquilone, o vero spelunche sotterranee, dove la luce del sole mai non discende, se non ripercussa da altra parte da quella illuminata.
         Ultimamente conchiude, e dice che, per quello che dinanzi detto è (cioè che le vertudi sono frutto di nobilitade, e che Dio questa metta ne l'anima che ben siede), che ad alquanti, cioè a quelli che hanno intelletto, che sono pochi, è manifesto che nobilitade umana non sia altro che "seme di felicitade", messo da Dio ne l'anima ben posta, cioè lo cui corpo è d'ogni parte disposto perfettamente. Ché se le vertudi sono frutto di nobilitade, e felicitade è dolcezza per quelle comparata, manifesto è essa nobilitade essere semente di felicitade, come detto è. E se bene si guarda, questa diffinizione tutte e quattro le cagioni, cioè materiale, formale, efficiente e finale, comprende: materiale in quanto dice: ne l'anima ben posta, che è materia e subietto di nobilitade; formale in quanto dice che è seme; efficiente in quanto dice: Messo da Dio ne l'anima; finale in quanto dice: di felicità. E così è diffinita questa nostra bontade, la quale in noi similemente discende da somma e spirituale Virtude, come virtude in pietra da corpo nobilissimo celestiale.

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