Convivio – Trattato III – Capitolo III

        Non sanza cagione dico che questo amore ne la mente mia fa la sua operazione; ma ragionevolemente ciò si dice, a dare a intendere quale amore è questo, per lo loco nel quale adopera. Onde è da sapere che ciascuna cosa, come detto è di sopra, per la ragione di sopra mostrata ha 'l suo speziale amore. Come le corpora simplici hanno amore naturato in sé a lo luogo proprio, e però la terra sempre discende al centro; lo fuoco ha amore a la circunferenza di sopra, lungo lo cielo de la luna, e però sempre sale a quello. Le corpora composte prima, sì come sono le minere, hanno amore a lo luogo dove la loro generazione è ordinata, e in quello crescono e acquistano vigore e potenza; onde vedemo la calamita sempre da la parte de la sua generazione ricevere vertù. Le piante, che sono prima animate, hanno amore a certo luogo più manifestamente, secondo che la complessione richiede; e però vedemo certe piante lungo l'acque quasi cansarsi, e certe sopra li gioghi de le montagne, e certe ne le piagge e dappiè monti: le quali se si transmutano, o muoiono del tutto o vivono quasi triste, sì come cose disgiunte dal loro amico. Li animali bruti hanno più manifesto amore non solamente a li luoghi, ma l'uno l'altro vedemo amare. Li uomini hanno loro proprio amore a le perfette e oneste cose. E però che l'uomo, avvegna che una sola sustanza sia tutta sua forma, per la sua nobilitade ha in sé natura di tutte queste cose, tutti questi amori puote avere e tutti li ha.
         Ché per la natura del simplice corpo, che ne lo subietto signoreggia, naturalmente ama l'andare in giuso; e però quando in su muove lo suo corpo, più s'affatica. Per la natura seconda, del corpo misto, ama lo luogo de la sua generazione, e ancora lo tempo; e però ciascuno naturalmente è di più virtuoso corpo ne lo luogo dove è generato e nel tempo de la sua generazione che in altro. Onde si legge ne le storie d'Ercule, e ne l'Ovidio Maggiore e in Lucano e in altri poeti, che combattendo con lo gigante che si chiamava Anteo, tutte volte che lo gigante era stanco, e elli ponea lo suo corpo sopra la terra disteso o per sua volontà o per forza d'Ercule, forza e vigore interamente de la terra in lui resurgea, ne la quale e de la quale era esso generato. Di che accorgendosi Ercule, a la fine prese lui; e stringendo quello e levatolo da la terra, tanto lo tenne sanza lasciarlo a la terra ricongiugnere, che lo vinse per soperchio e uccise. E questa battaglia fu in Africa, secondo le testimonianze de le scritture.
         E per la natura terza, cioè de le piante, ha l'uomo amore a certo cibo, non in quanto è sensibile, ma in quanto è notribile, e quello cotale cibo fa l'opera di questa natura perfettissima, e l'altro non così, ma falla imperfetta. E però vedemo certo cibo fare li uomini formosi e membruti e bene vivacemente colorati, e certi fare lo contrario di questo. E per la natura quarta, de li animali, cioè sensitiva, hae l'uomo altro amore, per lo quale ama secondo la sensibile apparenza, sì come bestia; e questo amore ne l'uomo massimamente ha mestiere di rettore per la sua soperchievole operazione, ne lo diletto massimamente del gusto e del tatto. E per la quinta e ultima natura, cioè vera umana o, meglio dicendo, angelica, cioè razionale, ha l'uomo amore a la veritade e a la vertude; e da questo amore nasce la vera e perfetta amistade, de l'onesto tratta, de la quale parla lo Filosofo ne l'ottavo de l'Etica, quando tratta de l'amistade.
         Onde, acciò che questa natura si chiama mente, come di sopra è mostrato, dissi "Amore ragionare ne la mente", per dare ad intendere che questo amore era quello che in quella nobilissima natura nasce, cioè di veritade e di vertude, e per ischiudere ogni falsa oppinione da me, per la quale fosse sospicato lo mio amore essere per sensibile dilettazione. Dico poi disiosamente, a dare ad intendere la sua continuanza e lo suo fervore. E dico "move sovente cose che fanno disviare lo 'ntelletto". E veramente dico; però che li miei pensieri, di costei ragionando, molte fiate voleano cose conchiudere di lei che io non le potea intendere, e smarrivami, sì che quasi parea di fuori alienato: come chi guarda col viso contra una retta linea, prima vede le cose prossime chiaramente; poi, procedendo, meno le vede chiare; poi, più oltre, dubita; poi, massimamente oltre procedendo, lo viso disgiunto nulla vede.
         E quest'è l'una ineffabilitade di quello che io per tema ho preso; e consequentemente narro l'altra, quando dico: Lo suo parlare. E dico che li miei pensieri – che sono parlare d'Amore – "sonan sì dolci", che la mia anima, cioè lo mio affetto, arde di potere ciò con la lingua narrare; e perché dire nol posso, dico che l'anima se ne lamenta dicendo: lassa! ch'io non son possente. E questa è l'altra ineffabilitade; cioè che la lingua non è di quello che lo 'ntelletto vede compiutamente seguace. E dico l'anima ch'ascolta e che lo sente: "ascoltare", quanto a le parole, e "sentire", quanto a la dolcezza del suono.

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