Convivio – Trattato IV – Capitolo VII

         Poi che veduto è quanto è da reverire l'autoritade imperiale e la filosofica, che paiono aiutare le proposte oppinioni, è da ritornare al diritto calle de lo inteso processo. Dico dunque che questa ultima oppinione del vulgo è tanto durata, che sanza altro respetto, sanza inquisizione d'alcuna ragione, gentile è chiamato ciascuno che figlio sia o nepote d'alcuno valente uomo, tutto che esso sia da niente. E questo è quello che dice: Ed è tanto durata La così falsa oppinion tra nui, Che l'uom chiama colui Omo gentil che può dicere: "Io fui nepote, o figlio, di cotal valente", Benché sia da niente. Per che è da notare che pericolosissima negligenza è lasciare la mala oppinione prendere piede; che così come l'erba multiplica nel campo non cultato, e sormonta, e cuopre la spiga del frumento sì che, disparte agguardando, lo frumento non pare, e perdesi lo frutto finalmente; così la mala oppinione ne la mente, non gastigata e corretta, sì cresce e multiplica sì che le spighe de la ragione, cioè la vera oppinione si nasconde e quasi sepulta si perde. Oh com'è grande la mia impresa in questa canzone, a volere omai così trifoglioso campo sarchiare come quello de la comune sentenza, sì lungamente da questa cultura abbandonato! Certo non del tutto questo mondare intendo, ma solo in quelle parti dove le spighe de la ragione non sono del tutto sorprese: cioè coloro dirizzare intendo ne' quali alcuno lumetto di ragione per buona loro natura vive ancora, ché de li altri tanto è da curare quanto di bruti animali; però che non minore maraviglia mi sembra reducere a ragione colui in cui è la luce di ragione del tutto spenta, che reducere in vita colui che quattro dì è stato, nel sepulcro.
         Poi che la mala condizione di questa populare oppinione è narrata, subitamente, quasi come cosa orribile, quella percuoto fuori di tutto l'ordine de la riprovagione, dicendo: Ma vilissimo sembra, a chi 'l ver guata, a dare a intendere la sua intollerabile malizia, dicendo costoro mentire massimamente; però che non solamente colui è vile, cioè non gentile, che disceso di buoni è malvagio, ma eziandio è vilissimo: e pongo essemplo del cammino mostrato e poscia errato. Dove, a ciò mostrare, far mi conviene una questione, e rispondere a quella, in questo modo. Una pianura è con certi sentieri: campo con siepi, con fossati, con pietre, con legname, con tutti quasi impedimenti, fuori de li suoi stretti sentieri. Nevato è sì, che tutto cuopre la neve e rende una figura in ogni parte, sì che d'alcuno sentiero vestigio non si vede. Viene alcuno da l'una parte de la campagna e vuole andare a una magione che è da l'altra parte; e per sua industria, cioè per accorgimento e per bontade d'ingegno, solo da sé guidato, per lo diritto cammino si va là dove intende, lasciando le vestigie de li suoi passi diretro da sé. Viene un altro appresso costui, e vuole a questa magione andare, e non li è mestiere se non seguire li vestigi lasciati; e, per suo difetto, lo cammino che altri sanza scorta ha saputo tenere, questo scorto erra, e tortisce per li pruni e per le ruine, e a la parte dove dee non va. Quale di costoro si dee dicere valente? Rispondo: quegli che andò dinanzi. Questo altro come si chiamerà? Rispondo: vilissimo. Perché non si chiama non valente, cioè vile? Rispondo: perché non valente, cioè vile, sarebbe da chiamare colui che, non avendo alcuna scorta, non fosse ben camminato; ma però che questi l'ebbe, lo suo errore e lo suo difetto non può salire, e però è da dire non vile, ma vilissimo. E così quelli che dal padre o d'alcuno suo maggiore buono è disceso ed è malvagio, non solamente è vile, ma vilissimo, e degno d'ogni dispetto e vituperio più che altro villano. E perché l'uomo da questa infima viltade si guardi, comanda Salomone a colui che 'l valente antecessore hae avuto, nel vigesimo secondo capitolo de li Proverbi: "Non trapasserai li termini antichi che puosero li padri tuoi"; e dinanzi dice, nel quarto capitolo del detto libro: "La via de' giusti", cioè de' valenti, "quasi luce splendiente procede, e quella de li malvagi è oscura. Elli non sanno dove rovinano". Ultimamente, quando si dice: E tocca a tal, ch'è morto e va per terra, a maggiore detrimento dico questo cotale vilissimo essere morto, parendo vivo. Onde è da sapere che veramente morto lo malvagio uomo dire si puote, e massimamente quelli che da la via del buono suo antecessore si parte. E ciò si può così mostrare. Sì come dice Aristotile nel secondo de l'Anima, "vivere è l'essere de li viventi"; e per ciò che vivere è per molti modi (sì come ne le piante vegetare, ne li animali vegetare e sentire e muovere, ne li uomini vegetare, sentire, muovere e ragionare, o vero intelligere), e le cose si deono denominare da la più nobile parte, manifesto è che vivere ne li animali è sentire – animali, dico, bruti -, vivere ne l'uomo è ragione usare. Dunque, se 'l vivere è l'essere dei viventi e vivere ne l'uomo è ragione usare, ragione usare è l'essere de l'uomo, e così da quello uso partire è partire da essere, e così è essere morto. E non si parte da l'uso del ragionare chi non ragiona lo fine de la sua vita? e non si parte da l'uso de la ragione chi non ragiona il cammino che fare dee? Certo si parte; e ciò si manifesta massimamente con colui che ha le vestigie innanzi, e non le mira. E però dice Salomone nel quinto capitolo de li Proverbi: "Quelli muore che non ebbe disciplina, e ne la moltitudine de la sua stoltezza sarà ingannato". Ciò è a dire: Colui è morto che non si fé discepolo, che non segue lo maestro; e questo vilissimo è quello. Potrebbe alcuno dicere: Come è morto e va? Rispondo che è morto uomo e rimaso bestia. Ché, sì come dice lo Filosofo nel secondo de l'Anima, le potenze de l'anima stanno sopra sé come la figura de lo quadrangulo sta sopra lo triangulo, e lo pentangulo, cioè la figura che ha cinque canti, sta sopra lo quadrangulo: e così la sensitiva sta sopra la vegetativa, e la intellettiva sta sopra la sensitiva. Dunque, come levando l'ultimo canto del pentangulo rimane quadrangulo e non più pentangulo, così levando l'ultima potenza de l'anima, cioè la ragione, non rimane più uomo, ma cosa con anima sensitiva solamente, cioè animale bruto. E questa è la sentenza del secondo verso de la canzone impresa, nel quale si pongono l'altrui oppinioni.

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