Convivio – Trattato IV – Capitolo XIX

         Poi che ne la precedente parte sono pertrattate certe cose e diterminate, ch'erano necessarie a vedere come diffinire si possa questa buona cosa di che si parla, procedere si conviene a la seguente parte, che comincia: È gentilezza dovunqu'è vertute. E questa si vuole in due parti reducere: ne la prima si pruova certa cosa che dinanzi è toccata e lasciata non provata; ne la seconda, conchiudendo, si truova questa diffinizione che cercando si va. E comincia questa seconda parte: Dunque verrà, come dal nero il perso.
         Ad evidenza de la prima parte, da reducere a memoria è che di sopra si dice che se nobilitade vale e si stende più che vertute, vertute più tosto procederà da essa. La qual cosa ora in questa parte pruova, cioè che nobilitade più si stenda; e rende essemplo del cielo, dicendo che dovunque è vertude, quivi è nobilitade. E quivi si vuole sapere che, sì come scritto è in Ragione e per regola di Ragione si tiene, in quelle cose che per sé sono manifeste non è mestiere di pruova; e nulla n'è più manifesta che nobilitade essere dove è vertude, e ciascuna cosa volgarmente vedemo, in sua natura virtuosa, nobile esser chiamata. Dice dunque: Sì com'è 'l cielo dovunqu'è la stella, e non è questo vero e converso, cioè rivolto, che dovunque è cielo sia la stella, così è nobilitade dovunque è vertude, e non vertude dovunque nobilitade: e con bello e convenevole essemplo, ché veramente è cielo ne lo quale molte e diverse stelle rilucono. Riluce in essa le intellettuali e le morali virtudi; riluce in essa le buone disposizioni da natura date, cioè pietade e religione, e le laudabili passioni, cioè vergogna e misericordia e altre molte; riluce in essa le corporali bontadi, cioè bellezza, fortezza e quasi perpetua valitudine. E tante sono le sue stelle, che nel cielo si stendono, che certo non è da maravigliare se molti e diversi frutti fanno ne la umana nobilitade; tante sono le nature e le potenze di quella, in una sotto una semplice sustanza comprese e adunate, ne le quali sì come in diversi rami fruttifica diversamente. Certo da dovvero ardisco a dire che la nobilitade umana, quanto è da la parte di molti suoi frutti, quella de l'angelo soperchia, tutto che l'angelica in sua unitade sia più divina. Di questa nobilitade nostra, che in tanti e tali frutti fruttificava, s'accorse lo Salmista, quando fece quel Salmo che comincia: "Segnore nostro Iddio, quanto è ammirabile lo nome tuo ne l'universa terra!", là dove commenda l'uomo, quasi maravigliandosi del divino affetto in essa umana creatura, dicendo: "Che cosa è l'uomo, che tu, Dio, lo visiti? Tu l'hai fatto poco minore che li angeli, di gloria e d'onore l'hai coronato, e posto lui sopra l'opere de le mani tue". Veramente dunque bella e convenevole comparazione fu del cielo a l'umana nobilitade.
         Poi quando dice: E noi in donna e in età novella, pruova ciò che dico, mostrando che la nobilitade si stenda in parte dove virtù non sia. E dice poi: vedem questa salute: e tocca nobilitade, che bene è vera salute, essere là dove è vergogna, cioè tema di disnoranza, sì come è ne le donne e ne li giovani, dove la vergogna è buona e laudabile; la qual vergogna non è virtù, ma certa passione buona. E dice: E noi in donna e in età novella, cioè in giovani; però che, secondo che vuole lo Filosofo nel quarto de l'Etica, "vergogna non è laudabile né sta bene ne li vecchi e ne li uomini studiosi", però che a loro si conviene di guardare da quelle cose che a vergogna li conducano. A li giovani e a le donne non è tanto richesto di cautela, e però in loro è laudabile la paura del disnore ricevere per la colpa; che da nobilitade viene, e nobilitade si puote credere e in loro chiamare, sì come viltade e ignobilitade la sfacciatezza. Onde buono e ottimo segno di nobilitade è ne li pargoli e imperfetti d'etade, quando dopo lo fallo nel viso loro vergogna si dipinge, che è allora frutto di vera nobilitade.

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