Convivio – Trattato II – Capitolo III

         A più latinamente vedere la sentenza litterale, a la quale ora s'intende, de la prima parte sopra divisa, è da sapere chi e quanti sono costoro che son chiamati a l'audienza mia, e quale è questo terzo cielo lo quale dico loro muovere: e prima dirò del cielo, poi dirò di loro a cu' io parlo. E avvegna che quelle cose, per rispetto de la veritade, assai poco sapere si possano, quel cotanto che l'umana ragione ne vede ha più dilettazione che 'l molto e 'l certo de le cose de le quali si giudica secondo lo senso, secondo la sentenza del Filosofo in quello de li Animali.
         Dico adunque, che del numero de li cieli e del sito diversamente è sentito da molti, avvegna che la veritade a l'ultimo sia trovata. Aristotile credette, seguitando solamente l'antica grossezza de li astrologi, che fossero pure otto cieli, de li quali lo estremo, e che contenesse tutto, fosse quello dove le stelle fisse sono, cioè la spera ottava; e che di fuori da esso non fosse altro alcuno. Ancora credette che lo cielo del Sole fosse immediato con quello de la Luna, cioè secondo a noi. E questa sua sentenza così erronea può vedere chi vuole nel secondo De Celo et Mundo, ch'è nel secondo de' libri naturali. Veramente elli di ciò si scusa nel duodecimo de la Metafisica, dove mostra bene sé avere seguito pur l'altrui sentenza là dove d'astrologia li convenne parlare.
         Tolomeo poi, accorgendosi che l'ottava spera si movea per più movimenti, veggendo lo cerchio suo partire da lo diritto cerchio, che volge tutto da oriente in occidente, costretto da li principii di filosofia, che di necessitade vuole uno primo mobile semplicissimo, puose un altro cielo essere fuori de lo Stellato, lo quale facesse questa revoluzione da oriente in occidente: la quale dico che si compie quasi in ventiquattro ore, cioè in ventitrè ore e quattordici parti de le quindici d'un'altra, grossamente assegnando. Sì che secondo lui, secondo quello che si tiene in astrologia ed in filosofia poi che quelli movimenti furon veduti, sono nove cieli mobili; lo sito de li quali è manifesto e diterminato, secondo che per un'arte che si chiama perspettiva, e per arismetrica e geometria, sensibilmente e ragionevolmente è veduto, e per altre esperienze sensibili: sì come ne lo eclipsi del sole appare sensibilmente la luna essere sotto lo sole e sì come per testimonianza d'Aristotile, che vide con li occhi (secondo che dice nel secondo De Celo et Mundo) la luna, essendo nuova, entrare sotto a Marte da la parte non lucente, e Marte stare celato tanto che rapparve da l'altra parte lucente de la luna, ch'era verso occidente.
         Ed è l'ordine del sito questo, che lo primo che numerano è quello dove è la Luna; lo secondo è quello dov'è Mercurio; lo terzo è quello dov'è Venere; lo quarto è quello dove è lo Sole; lo quinto è quello di Marte; lo sesto è quello di Giove; lo settimo è quello di Saturno; l'ottavo è quello de le Stelle; lo nono è quello che non è sensibile se non per questo movimento che è detto di sopra; lo quale chiamano molti Cristallino, cioè diafano, o vero tutto trasparente. Veramente, fuori di tutti questi, li cattolici pongono lo cielo Empireo, che è a dire cielo di fiamma o vero luminoso; e pongono esso essere immobile per avere in sé, secondo ciascuna parte, ciò che la sua materia vuole. E questo è cagione al Primo Mobile per avere velocissimo movimento; ché per lo ferventissimo appetito ch'è 'n ciascuna parte di quello nono cielo, che è immediato a quello, d'essere congiunta con ciascuna parte di quello divinissimo ciel quieto, in quello si rivolve con tanto desiderio, che la sua velocitade è quasi incomprensibile. E quieto e pacifico è lo luogo di quella somma Deitade che sola sé compiutamente vede. Questo loco è di spiriti beati, secondo che la Santa Chiesa vuole, che non può dire menzogna; e Aristotile pare ciò sentire, a chi bene lo 'ntende, nel primo De Celo et Mundo. Questo è lo soprano edificio del mondo, nel quale tutto lo mondo s'inchiude, e di fuori dal quale nulla è; ed esso non è in luogo ma formato fu solo ne la prima Mente, la quale li Greci dicono Protonoè. Questa è quella magnificenza de la quale parlò il Salmista quando dice a Dio: "Levata è la magnificenza tua sopra li cieli". E così ricogliendo ciò che ragionato è, pare che diece cieli siano, de li quali quello di Venere sia lo terzo, del quale si fa menzione in quella parte che mostrare intendo.
         Ed è da sapere che ciascuno cielo di sotto al Cristallino ha due poli fermi, quanto a sé; e lo nono li ha fermi e fissi, e non mutabili secondo alcuno respetto. E ciascuno, sì lo nono come li altri, hanno un cerchio, che si può chiamare equatore del suo cielo proprio; lo quale igualmente in ciascuna parte de la sua revoluzione è rimoto da l'uno polo e da l'altro, come può sensibilmente vedere chi volge un pomo, o altra cosa ritonda. E questo cerchio ha più rattezza nel muovere che alcuna parte del suo cielo, in ciascuno cielo, come può vedere chi bene considera. E ciascuna parte, quant'ella più è presso ad esso, tanto più rattamente si muove; quanto più n'è remota e più presso al polo, più è tarda, però che la sua revoluzione è minore, e conviene essere in uno medesimo tempo, di necessitade, con la maggiore. Dico ancora, che quanto lo cielo più è presso al cerchio equatore tanto è più nobile per comparazione a li suoi poli, però che ha più movimento e più attualitade e più vita e più forma, e più tocca di quello che è sopra sé, e per consequente più è virtuoso. Onde le stelle del Cielo Stellato sono più piene di vertù tra loro quanto più sono presso a questo cerchio.
         E in sul dosso di questo cerchio, nel cielo di Venere, del quale al presente si tratta, è una speretta che per se medesima in esso cielo si volge; lo cerchio de la quale li astrologi chiamano epiciclo. E sì come la grande spera due poli volge, così questa picciola, e così ha questa picciola lo cerchio equatore, e così è più nobile quanto è più presso di quello; e in su l'arco, o vero dosso, di questo cerchio è fissa la lucentissima stella di Venere. E avvegna che detto sia essere diece cieli secondo la stretta veritade, questo numero non li comprende tutti; ché questo di cui è fatta menzione, cioè l'epiciclo nel quale è fissa la stella, è uno cielo per sé, o vero spera, e non ha una essenza con quello che 'l porta, avvegna che più sia connaturato ad esso che li altri; e con esso è chiamato uno cielo, e dinominasi l'uno e l'altro da la stella. Come li altri cieli e l'altre stelle siano, non è al presente da trattare: basti ciò che detto è de la veritade del terzo cielo, del quale al presente intendo e del quale compiutamente è mostrato quello che al presente n'è mestiere.

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