Convivio – Trattato II – Capitolo IX

         Tornando al proposito, dico che in questo verso che comincia: Trova contraro tal che lo distrugge, intendo manifestare quello che dentro a me l'anima mia ragionava, cioè l'antico pensiero contra lo nuovo. E prima brievemente manifesto la cagione del suo lamentevole parlare, quando dico: Trova contraro tal che lo distrugge L'umil pensero, che parlar mi sole D'un'angela che 'n cielo è coronata. Questo è quello speziale pensiero, del quale detto è di sopra che solea esser vita de lo cor dolente. Poi quando dico: L'anima piange, sì ancor len dole, manifesto l'anima mia essere ancora da la sua parte, e con tristizia parlare: e dico che dice parole lamentandosi, quasi come si maravigliasse de la subita transmutazione, dicendo: Oh lassa a me, come si fugge Questo piatoso che m'ha consolata! Ben può dire "consolata", ché ne la sua grande perdita questo pensiero, che in cielo salia, le avea data molta consolazione. Poi appresso, ad iscusa di sé dico che si volge tutto lo mio pensiero, cioè l'anima, de la quale dico questa affannata, e parla contra gli occhi; e questo si manifesta quivi: De li occhi miei dice questa affannata. E dico ch'ella dice di loro e contra loro tre cose. La prima è che bestemmia l'ora che questa donna li vide. E qui si vuol sapere che avvegna che più cose ne l'occhio a un'ora possano venire, veramente quella che viene per retta linea ne la punta de la pupilla, quella veramente si vede, e ne la imaginativa si suggella solamente. E questo è però che 'l nervo per lo quale corre lo spirito visivo, è diritto a quella parte; e però veramente l'occhio l'altro occhio non può guardare, sì che esso non sia veduto da lui; ché, sì come quello che mira riceve la forma ne la pupilla per retta linea, così per quella medesima linea la sua forma se ne va in quello ch'ello mira: e molte volte, nel dirizzare di questa linea, discocca l'arco di colui al quale ogni arme è leggiere. Però quando dico che tal donna li vide, è tanto a dire quanto che li occhi suoi e li miei si guardaro.
         La seconda cosa che dice, si è che riprende la sua disobedienza, quando dice: E perché non credeano a me di lei? Poi procede a la terza cosa, e dice che non dee sé riprendere di provvedimento, ma loro di non ubbidire; però che dice che alcuna volta, di questa donna ragionando, dicesse: Ne li occhi di costei doverebbe esser virtù sopra me, se ella avesse aperta la via di venire; e questo dice quivi: Io dicea: Ben ne li occhi di costei. E ben si dee credere che l'anima mia conoscea la sua disposizione atta a ricevere l'atto di questa donna, e però ne temea; ché l'atto de l'agente si prende nel disposto paziente, sì come dice lo Filosofo nel secondo de l'Anima. E però se la cera avesse spirito da temere, più temerebbe di venire a lo raggio del sole che non farebbe la pietra, però che la sua disposizione riceve quello per più forte operazione.
         Ultimamente manifesta l'anima nel suo parlare la presunzione loro pericolosa essere stata, quando dice: E non mi valse ch'io ne fossi accorta Che non mirasser tal, ch'io ne son morta. Non là mirasser, dice, colui di cui prima detto avea: Colui che le mie pari ancide. E così termina le sue parole, a le quali risponde lo novo pensiero, sì come nel seguente capitolo si dichiarerà.

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