Le rime

Le rime XL

A Cino da Pistoia I' ho veduto già senza radice Legno ch'è per omor tanto gagliardo Che que' che vide nel fiume lombardo Cader suo figlio, fronde fuor n'elice; Ma frutto no, però che 'l contradice Natura, ch'al difetto fa riguardo, Perché conosce che saria bugiardo Sapor non fatto da vera notrice. Giovane donna a […]

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Le rime XXXIX

All'ignoto Io Dante a te, che m'hai così chiamato, Rispondo brieve con poco pensare, Però che più non posso soprastare, Tanto m'ha 'l tuo pensier forte affannato. Ma ben vorrei saper dove e in qual lato Ti richiamasti, per me ricordare: Forse che per mia lettera mandare Saresti d'ogni colpo risanato. Ma s'ella è donna

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Le rime XXXVIII

Io sento sì d'Amor la gran possanza Ch'io non posso durare Lungamente a soffrire, ond'io mi doglio: Però che 'l suo valor si pur avanza, E 'l mio sento mancare Sì ch'io son meno ognora ch'io non soglio. Non dico ch'Amor faccia più ch'io voglio, Ché, se facesse quanto il voler chiede, Quella vertù che

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Le rime XXXVII

Amor, che movi tua vertù da cielo Come 'l sol lo splendore, Che là s'apprende più lo suo valore Dove più nobiltà suo raggio trova; E come el fuga oscuritate e gelo, Così, alto segnore, Tu cacci la viltate altrui del core, Né ira contra te fa lunga prova: Da te conven che ciascun ben

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Le rime XXXVI

Sonetto ancora sulla crudeltà della «pargoletta»: Dante, che aspetta la morte per la durezza della donna, è ormai un esempio per gli altri che non si arrischino a guardare la «pargoletta» negli occhi per preservare la propria salute. Chi guarderà già mai sanza paura Ne li occhi d'esta bella pargoletta, Che m'hanno concio sì che

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Le rime XXXV

Ancora una ballata per la "pargoletta", che non ha mai provato l'amore, ed è così dura di cuore, perché sa di essere giovinetta e bella, che la sua durezza avrebbe potuto perfino uccidere Dante Perché ti vedi giovinetta e bella, Tanto che svegli ne la mente Amore, Pres'hai orgoglio e durezza nel core. Orgogliosa se'

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Le rime XXXIV

Ballata, di scuola stilnovistica, indirizzata a una donna, la "pargoletta" amata da Dante fra il 1290 e il 1300, probabilmente verso la metà del decennio, fra il periodo dell'amore per Beatrice e l'amore per la donna-pietra «I' mi son pargoletta bella e nova, Che son venuta per mostrare altrui De le bellezze del loco ond'io

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Le rime XXXIII

Le due donne sono metaforicamente la Virtù e la Bellezza: la Virtù si pratica, la Bellezza si contempla, mentre Amore è sorgente di nobili parole. Due donne in cima de la mente mia Venute sono a ragionar d'amore: L'una ha in sé cortesia e valore, Prudenza e onestà in compagnia; L'altra ha bellezza e vaga

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Le rime XXXII

O dolci rime che parlando andate De la donna gentil che l'altre onora, A voi verrà, se non è giunto ancora, Un che direte: «Questi è nostro frate». Io vi scongiuro che non l'ascoltiate, Per quel signor che le donne innamora, Ché ne la sua sentenzia non dimora Cosa che amica sia di veritate. E

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Le rime XXXI

Parole mie che per lo mondo siete, Voi che nasceste poi ch'io cominciai A dir per quella donna in cui errai: «Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete», Andatevene a lei, che la sapete, Chiamando sì ch'ell'oda i vostri guai; Ditele: «Noi siam vostre, ed unquemai Più che noi siamo non ci vederete». Con lei

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